Il cordone ombelicale è una sorta di condotto che ha origine nelle prime settimane di gestazione e che è costituito da tre vasi ombelicali, una vena e due arterie, che hanno l’importante funzione di permettere lo scambio di sangue tra la madre e il feto nel periodo gestazionale. Tali vasi sono circondati da un gel di matrice extracellulare, noto come Gelatina di Wharton, ricoperto esternamente dall’amnios. La struttura della Gelatina di Wharton permette un certo grado di compressione e deformazione dell’organo, con rapido ritorno alla forma originaria senza che vi sia una compromissione dell’afflusso sanguigno al feto. Il cordone permette il collegamento del circolo sanguigno del bambino alla placenta, l’organo della madre che consente il passaggio fetale di ossigeno e sostanze nutritive necessarie alla crescita del feto. Il cordone, quindi, o funicolo ombelicale, altro non è che la struttura di connessione tra il sistema circolatorio del feto e la placenta. Si tratta di una struttura anatomica decidua (temporanea): alla nascita, infatti, il cordone perde la sua funzione, dal momento che con respirazione e allattamento viene fornito tutto il necessario per la crescita del nascituro. Alla nascita il cordone si presenta come una struttura cordoniforme della lunghezza di circa 50 cm e del diametro di 15-20 mm. Il suo aspetto naturale è determinato dal decorso spiroidale delle arterie ombelicali intorno alla vena ombelicale. Dopo qualche minuto dalla nascita (in genere massimo 3 minuti) viene per questo bloccato con una pinza sterile di plastica (clampato) e reciso, con un procedimento che non è doloroso né per la madre né per il bambino.
Una volta che sia stato reciso il cordone, al bambino rimane il moncone ombelicale, lungo circa 3-5 cm e che non deve in alcun modo essere tirato o tolto. Soltanto quando sarà asciutto, sarà possibile togliere la pinza di plastica che lo chiude. Bisogna considerare che durante la gravidanza il cordone è immerso nel liquido amniotico, per cui l’esposizione all’area determinerà un fisiologico processo di modificazioni strutturali che condurranno al suo completo distacco. Il moncone va gradualmente incontro ad un processo noto come mummificazione, durante il quale si essicca, assumendo colorazioni diverse che variano dal verde, al marrone, al grigio/nero. Durante questa fase, il moncone può essere a tutti gli effetti considerato come una ferita in via di guarigione e, di conseguenza, potenziale fonte d’infezione locale o sistemica per il neonato. La cute del neonato, immediatamente dopo il parto, è generalmente colonizzata da batteri non patogeni che da sé non sarebbero in grado di generare infezioni. Tuttavia, in caso di scarse condizioni igieniche e inadeguata cura del moncone, potrebbero formarsi germi patogeni in grado di determinare infezioni neonatali.
La mummificazione si completa in genere entro 7-14 giorni, periodo al termine del quale il cordone ombelicale cade spontaneamente e lascia posto alla “cicatrice ombelicale”, cioè l’ombelico. L’eventuale presenza di sangue incrostato nei pressi del moncone o una lieve fuoriuscita di sangue non dovrebbero destare preoccupazione, perché si tratta di processi del tutto fisiologici.
Un’importante premessa riguarda il fatto che il moncone mummifica tanto più velocemente quanto più frequentemente viene lasciato asciutto e all’aria, motivo per il quale la medicazione dovrebbe essere sostituita ogni qualvolta risulti bagnata o umida, oppure sporca di secrezioni sierose o sieroematiche. Fino alla caduta del moncone bisogna prendersene cura con precise norme igieniche per evitare lo sviluppo di infezioni. Ecco come:
I ricercatori hanno dimostrato che in situazioni di corretta igiene non è necessario fare ricorso a disinfettanti o alcool per la pulizia dell’area del moncone, dato che questi potrebbero ritardare la mummificazione, irritare la cute e non ridurre il rischio di infezioni. La letteratura sul tema sembra comunque essere particolarmente influenzata dalle differenze geografiche e dal grado di sviluppo dei paesi in cui si svolgono gli studi. In sintesi, si può dire che laddove l’incidenza delle onfaliti è particolarmente bassa e la mortalità correlata pari a zero, non vi è un maggior beneficio nell’utilizzo di antisettici per la cura del moncone rispetto ad una tecnica pulita e asciutta senza prodotti medicamentosi. La stessa Oms ha rilasciato nel 2013 (e di nuovo, nel 2017) delle raccomandazioni circa la salute neonatale, contenenti indicazioni specifiche la cura del moncone ombelicale. Tali raccomandazioni prevedono l’utilizzo di una tecnica pulita, asciutta e senza antisettici cutanei per la cura quotidiana del moncone in bambini nati in Paesi sviluppati.
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Dall’analisi della letteratura emergono studi che supportano anche l’utilizzo di prodotti naturali in grado di favorire il processo di guarigione del moncone, ad esempio una combinazione di Arnica Echinacea in polvere. Quest’opzione non solo risulta efficace, ma anche sicura e priva di effetti collaterali: riduce i tempi di mummificazione e permette il distacco del moncone in tempi ridotti. Lo studio che si è premurato di indagare il ruolo di questo prodotto naturale è italiano, ed è stato condotto su 6323 bambini trattati con polvere di Arnica Echinacea due volte al giorno, fino al completo distacco del moncone ombelicale. Il distacco si è verificato nell’89,09% dei neonati durante i primi quattro giorni di vita, con la percentuale che aumenta al 96,13% nei primi 6 giorni. Lo studio dimostra bene l’efficacia e la sicurezza dell’Arnica nel favorire la mummificazione e il distacco del moncone. Non sono state individuate infezioni o colonizzazioni batteriche, né sono state registrate complicanze. Grazie ai suoi potenziali benefici, al basso costo e alla fattibilità, si raccomanda quindi l’uso della polvere di Arnica Echinacea come procedura di routine.
L’utilizzo di questi prodotti può essere valutato con il pediatra di riferimento nel caso in cui i tempi di mummificazione del cordone risultino particolarmente lunghi.
Per quel che concerne invece gli ambienti con elevata mortalità neonatale (tasso di mortalità >30 su 1000), è raccomandata l’applicazione giornaliera di clorexidina al 4% al cordone ombelicale durante la prima settimana di vita.
Una volta che il moncone si sia asciugato, ci si dovrà occupare della medicazione della cicatrice ad ogni cambio di pannolino. Per farlo si può utilizzare una garza, imbevuta leggermente di acqua, per rimuovere le crosticine residue. Fatto questo si dovrà applicare una garza asciutta alla cicatrice e assicurarla al corpo del neonato con una fasciatura, meglio se una benda a rete, che sia salda ma non troppo stretta. Quando la ferita si sarà completamente cicatrizzata, sarà possibile togliere la medicazione e procedere con il bagnetto del bambino senza alcune complicazioni.
Quando non siano rispettate le corrette misure igieniche, il moncone può andare incontro a macerazione e divenire ricettacolo di infezioni locali, talvolta molto gravi. Si tratta delle onfaliti, infezioni che si manifestano localmente con la presenza di:
Talvolta possono essere presenti anche febbre, sonnolenza e secrezioni purulente e/o maleodoranti. Qualora si sospetti un’onfalite è quindi necessario rivolgersi immediatamente al pediatra, che si premurerà di fare diagnosi tempestiva e prescrivere una terapia corretta. Altri sintomi e segni clinici in presenza dei quali si dovrebbe immediatamente contattare un medico sono:
Il rischio più importante dell’onfalite è legato alla progressione dell’infezione con interessamento dell’intero organismo (sepsi), con possibile esito fatale. La causa principale di questa condizione risiede nel fatto che il cordone passa da una condizione di assoluta sterilità (l’utero materno) ad un ambiente ricco di vita batterica. I vasi sanguigni del moncone, per di più, possono fungere da porta d’accesso per il flusso sanguigno, con il potenziale rischio di innescare una pericolosa infezione sistemica.
I patogeni più comunemente responsabili sono Streptococcus pyogenes e vari batteri gram-negativi, come Escherichia Coli, Klebsielle pneumoniae e Proteus mirablis. Tra i fattori di rischio per lo sviluppo di onfalite si annoverano:
Al fine di trattare l’onfalite viene normalmente prescritta un’aggressiva terapia antibiotica ad ampio spettro, somministrata per via endovenosa. La durata della terapia dipende essenzialmente dalla risposta clinica del neonato e dalle eventuali complicanze che possono svilupparsi durante il ricovero ospedaliero.
Nei Paesi sviluppati il rischio che il moncone si infetti è davvero molto basso. Infatti, l’allattamento esclusivo e un livello adeguato di igiene sono fattori che riducono di molto la possibilità che ciò accada. Tuttavia, se il moncone e la cute circostante diventano rossi, gonfi ed il neonato manifesta segni di dolore quando toccato, è probabile che sia in atto un’infezione del moncone. In questi casi è necessario iniziare precocemente (sotto consiglio pediatrico) una cura antibiotica, ed evitare ad ogni costo il fai-da-te. E’ importante sapere che, seppur rara, un’infezione del cordone può rapidamente estendersi a tutto l’organismo.
Una volta che il moncone cade, come detto, resta solitamente una piccola cicatrice. Talvolta, questa può apparire umida, con secrezioni di sangue e/o muco e una lieve escrescenza. Si tratta di una sovrabbondanza di tessuto di cicatrizzazione noto come granuloma, che non rappresenta un problema o un fattore di rischio di infezioni. Sarà però necessario rivolgersi al pediatra, che interverrà direttamente in ambulatorio effettuando ripetute toccature con il nitrato d’argento, terapia indolore che porta alla risoluzione del granuloma nel giro di alcuni giorni. Alcuni pediatri utilizzano tecniche alternative per curare il granuloma, come applicazioni di sale da cucina alla base della cicatrice.
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